Leonardo e il tovagliolo

La questione del tovagliolo. Leonardo da Vinci e l’acuta pensata.

Il tovagliolo, così come lo conosciamo oggi, comparve nel 1491. Leonardo da Vinci, maestro

cerimoniere degli Sforza, non tollerando per nulla la mancanza di igiene e il disordine imperante

sulla tavola di aristocratici e nobili, atti a mangiare in modo indecoroso e incivile, propose una

interessante soluzione: una piccola tovaglia sulla tovaglia ad ogni commensale.

Sperimentando un nuovo approccio del comportamento più adeguato ad un principe e ai suoi

invitati e desiderando conferire un aspetto dignitoso ed accurato ai banchetti di corte, il

‘truccabocca’ avrebbe riempito il suo inventore di orgoglio e di ottimismo insieme.

Gli acquamanili medioevali, utilizzati un po’ da tutti, le coppe con acqua aromatizzata al rosmarino

o alle rose ad uso collettivo per ‘dar acqua alle mani’ richiedevano l’uso di ‘salviettine’ o panni

bianchi per asciugarle opportunamente. Nonostante il ‘galateo’ dell’epoca insegnasse già le buone

maniere, l’abitudine di pulirsi mani e bocca con lembi della tovaglia o sulle maniche degli abiti era

comunque diffusa, là dove c’erano tazze con acqua profumata, accettata solitamente volentieri in

segno di rispetto. Leonardo si convinse della riuscita della sua trovata, impressionato dalle stranezze

poco igieniche in uso alla corte di Ludovico il Moro: l’abitudine di pulirsi le dita con il pelo di

conigli vivi legati alle rispettive sedie degli ospiti o con mantelli sul dorso dei cani sotto il tavolo

era molto frequente.

L’ambasciatore di Firenze a Milano, Pietro Alemanni, riferiva a Lorenzo De’ Medici che « Mastro

Leonardo… da qualche tempo ha abbandonato la scultura e la geometria per risolvere i problemi

delle tovaglie del Sire Lodovico, la cui sporcizia — me l’ha confessato — lo assilla. E adesso ha

messo in tavola la sua soluzione: una tovaglia individuale posta davanti ad ogni ospite, da insozzare

al posto della tovaglia grande», rigorosamente bianca e distesa, proprio come quella del suo

‘Cenacolo’. Nacquero situazioni insolite, ‘tragicomiche’, poiché nessuno sapeva come utilizzare il

tovagliolo, così che tutti lo trasformarono in oggetto di gioco e scherno. A cosa serviva? Dove si

teneva? Intorno al collo come in età romana, a mo’ di bavaglino, sull’avambraccio, su una spalla,

sulle gambe, sulla tavola? La novità venne recepita non proprio positivamente e fraintesa, restò

incompresa e snobbata dai più. La tovaglia, alla fine del lauto pasto, era destinata a restare, come

sempre, macchiata e molto ‘colorita’ o colorata. Leonardo non si arrese, anche se la btrillante idea

non riuscì a raggiungere l’obiettivo prefissato per le radicate abitudini e la reticenza al cambiamento.

Esemplificativo resta il famoso Codex Atlanticus, conservato nella Sala del tesoro della Biblioteca

Ambrosiana milanese, contenente innumerevoli disegni schematici con forme geometriche, soggetti

di uccelli, fiori, edifici, per riuscire a piegare il tovagliolo a regola d’arte e in modo creativo. Con

l’originale invenzione del tovagliolo compaiono anche ‘macchine’ rotanti per l’asciugatura dopo il

lavaggio, concretizzata successivamente e concepita alla maniera attuale addirittura nel XVIII

secolo. Anche oggi il tovagliolo impone le sue buone regole: qualora non vengano rispettate, il

piccolo e delicato quadrato di stoffa, adagiato garbatamente sulla tavola apparecchiata, può

trasformarsi in un elemento di imbarazzante scortesia. Quindi attenzione a come si usa!

Foliage: cromoterapia autunnale

Fotografia di Max Mencarelli

L’autunno in Liguria offre uno spettacolo mozzafiato di colori e paesaggi incantevoli grazie al foliage. Le tonalità calde e accese delle foglie che cambiano colore conferiscono al territorio un ambiente magico e suggestivo. I boschi di castagni, le colline punteggiate di vigneti e uliveti, i corbezzoli e i lecci creano uno scenario unico da ammirare, panorami straordinari, evocativi, immersivi, dall’effetto terapeutico e rilassante. Transitorietà, connessione con la natura, malinconia, nostalgia e al tempo stesso stupore dinanzi al ciclo stagionale, storie di vita, crepuscoli accesi e aurore esplosive, riflessi montani e marini sono descritti in modo incantevole da Pablo Neruda a William Wordsworth, da John Keats ad Albert Camus, che conferiscono alle descrizioni autunnali un ricco ed emozionale simbolismo.

La natura stessa sembra abbracciare il cambiamento e invita a rallentare per apprezzare la bellezza della transizione o canta una mescolanza di stati d’animo attraverso l’introspezione e l’accettazione della transitorietà della vita. L’atmosfera, con il suo tema di rinascita e trasformazione, si sposa bene con i colori e le sensazioni tipiche di questa stagione.

In “Il giardino segreto” di F.H. Burnett la bambina protagonista, Mary, scopre l’autunno che porta con sé un senso di mistero e di nuovo e sembra riflettere l’andamento degli eventi e i cambiamenti nelle relazioni tra i personaggi stessi, che esperimentano difficoltà, gioia, amicizia. Si vede l’invisibile nel visibile (“Colori d’autunno” di H.D.Thoreau), si percepiscono sensazioni e sentimenti, esplicitati nella vegetazione-tavolozza, non l’anticipazione della fine ma “il fiore, o meglio il frutto dell’anno”, una fragranza di aromi, un croccante tappeto, l’amaranto della cremisina, il rosso dell’acero, il cinerino del gelso, il bronzo dell’olmo, il giallo cromo del pioppo, il cremisi del mirtillo.

L’autunno è una seconda primavera dove ogni foglia è un fiore (A. Camus)

Il foliage autunnale si correla alla tradizione del Giorno dei defunti, in cui si visitano e si adornano con fiori le tombe dei propri cari, celebrando la vita che hanno vissuto. I colori caldi e terrosi si uniscono a quelli più vividi, l’atmosfera malinconica e dimessa si fa toccante e significativa, intrecciandosi intimamente con il ricordo di chi non è più tra noi.

Murales a scuola

Bambini con murales a scuola

I ragazzi del PON Scrittura creativa hanno avuto il piacere di incontrare l’ideatrice dei murales, la prof.ssa Enza Boscaini, ex insegnante di Arte e Immagine della scuola “Dante”, ora in pensione, che si è resa disponibile ad essere intervistata.

LA PREZIOSA “PINACOTECA” SCOLASTICA DELLA ‘DANTE’

Quali sono stati gli obiettivi nella realizzazione delle opere del percorso artistico della scuola secondaria di I grado“Dante Alighieri”?

Abbiamo voluto riempire le pareti bianche, per non lasciarle in “anonimo”: con questa attività pratico-operativa, impegnativa ma divertente al tempo stesso, i ragazzi delle classi seconde e terze hanno imparato a ricordare una o più opere di artisti famosi, riproducendole e reinterpretandole. Anche organizzare e gestire il materiale da utilizzare e cooperare in vista di un fine comune sono indubbiamente aspetti importanti, così come l’approccio inclusivo, poiché anche alunni con disabilità hanno potuto partecipare con gli insegnanti di sostegno di riferimento, offrendo un loro apporto originale.

Si è pensato altresì di conferire ad un’attività didattica specificamente artistica una valenza interdisciplinare e multisensoriale, che volesse lasciare un segno indelebile a scuola a chi sarebbe venuto dopo.

Come si è scelto cosa disegnare?

Ho esortato gli alunni a riproporre opere conosciute e famose, sia molto amate dalla sottoscritta, sia analizzate insieme durante il percorso di studio in classe: ad esempio Notte stellata di Van Gogh, Donna con l’ombrello di Monet, Gli orologi molli di Dalì, Il bacio di Klimt, La bambina con colomba di Picasso e altre ancora.

Come sono state realizzate queste opere?

Da una fotocopia dell’immagine di un’opera scelta si è passato all’ingrandimento della stessa, tenendo in conto le dimensioni della parete e tracciando una quadrettatura a matita precisa, secondo le dovute proporzioni. Ogni alunno avrebbe proceduto disegnando una parte all’interno di un riquadro e quindi, successivamente, si sarebbe definito il lavoro con l’apporto di tutti. Per motivi di sicurezza tutti gli alunni hanno dipinto sulle pareti fino ad un’altezza adeguata, invece relativamente alla prosecuzione del dipinto nella parte alta sono subentrata io stessa utilizzando una scala. Queste opere non arrivano sino al soffitto proprio per ciò che ho appena evidenziato.

Quale tipologia di colori è stata utilizzata per la realizzazione dei murales e dei pannelli affissi?

Abbiamo utilizzato le tempere. Si sono accostati tra loro colori primari puri per affinità (Klimt) o contrasto (Van Gogh).

Ma i murales sono come gli affreschi?

L’affresco è dipinto direttamente sull’intonaco ancora fresco, mentre i nostri murales sono stati realizzati sullo strato più superficiale del muro già asciutto. Per gli affreschi si utilizzano in sicurezza le terre, ovvero dei pigmenti che resistono alla causticità della calce. I colori a tempera delle nostre “opere” ancora oggi hanno mantenuto una certa brillantezza dopo molti anni. Solo pochi murales, soprattutto quelli collocati su pareti più umide o esposte alla luce del sole, accanto alle finestre) hanno bisogno evidente di ritocchi di restauro.

E i pannelli dipinti?

Realizzando dipinti su pannelli in legno, avendo prima studiato le origini di questa tipologia di tecnica e le caratteristiche principali dall’antichità in poi, abbiamo utilizzato le tempere e per ultimare un prodotto trasparente lucido di protezione, a tal punto da assicurarne la conservazione nel tempo con la tecnica della “verniciatura”.

Come avete realizzato gli acquari con pesci appesi a fili, fissati su pannelli in legno?

Il materiale usato è il das, modellato in varie forme tondeggianti e concave, grazie all’uso di palline di carta di giornale, su cui il das assottigliato con mattarello è stato posizionato, fatto essiccare e dipinto in maniera personalizzata da ogni alunno. Con la stessa tecnica ricordo che furono realizzate precedentemente delle maschere per carnevale di forma differente.

Sono presenti dipinti di fantasia con personaggi Disney o legati al mondo dell’infanzia. Perché sono stati scelti quei personaggi in particolare?

Le fiabe sono molto educative: intrattengono e insegnano valori intramontabili. Danno sicurezza ai bambini: i cattivi perdono, i buoni vincono e il finale è sempre positivo. Iniziamo dai nanetti di Biancaneve. Non ci sono tutti, quelli preferiti dai ragazzi, che sono stati raffigurati, restano Brontolo, Mammolo e Cucciolo.

Bambi è simbolo di coraggio e di amicizia, Minny e Topolino sono simpatici, allegri, lei sognatrice e romanticona, lui intelligente e generoso.

I pinguini, vestiti come bambini, sono rappresentati in una marcia in salita -il murale si trova sulla parete a fianco di una scalinata interna e lo si osserva dal basso verso l’alto, a salire-

Il pinguino è amato per la sua simpatia, per la camminata goffa e per il senso di appartenenza al gruppo dei simili.

I pesci e gli acquari sono numerosi: la valenza simbolica è complessa, ma i ragazzi li hanno disegnati e riprodotti essenzialmente perché i colori vivaci e le forme differenti hanno fatto esplodere creatività e fantasia. Conferiscono un tocco di allegria e simboleggiano la vita.

L’armonia dell’universo in vaso: il bonsai

26 Ottobre 2024

L’uomo fin dall’antichità ha sperimentato ingegno e creatività attraverso la rappresentazione di realtà naturali in spazi ristretti e circoscritti, conferendo significati religiosi, filosofici alle unità compositive verdi con espressioni estetiche strabilianti.

Il Bonsai giapponese rappresenta un giardino miniaturizzato, ‘nanificato’, che dà valore e risalto all’elemento vegeale, l’albero, simbolo di vita, specchio del mondo, collegandosi al thaoismo e al buddhismo e al rito sacro del tokonoma, allestito in casa come un altare sacro con piante, fiori e opere d’arte. L’arte del bonsai si lega allo stile ‘impressionistico’ del giardino cinese dei primi secoli d.C., il ‘paesaggio in vasca’ o p’en-king, realizzato con pietre o sassi, tronchi e rami contorti, piante diverse da regione a regione in contenitori-vassoio riempiti di acqua. L’elemento verde entra in sinergia con l’elemento terra e l’elemento acqua, senza che nessuno prevalga sull’altro. Il bonsai simboleggia l’animo della persona che lo accudisce e in Occidente è molto apprezzato come artificio botanico originale, come portafortuna. La naturalezza (shizen), la semplicità compositiva (kanso) ma anche per l’essenziale, l’asimmetrico (fukinsei), l’austerità (wabi sabi), la misteriosa profondità (yuugen) e l’antico, la libertà di azione (datsuzoku), la tranquillità (seijaku) sprigionano il senso di ‘perfezione imperfetta’ e della vita ‘euritmica’: uomo e pianta instaurano un equilibrio e una sinergia che creano movimento ordinato nel quotidiano, spesso caotico e stressante, insegnando ad apprezzare la bellezza, la calma, l’armonia della natura. I monaci buddisti fanno conoscere questa filosofia agli europei e agli americani nel Medioevo.

Perché il bonsai Ficus Ginseng microcarpa in casa? Oltre ad avere un aspetto particolare e simpaticamente ‘scenografico’ per via del fusto somigliante ad un rizoma di ginseng e delle sue radici tozze, è riconosciuta pianta di buon auspicio, protegge contro le negatività, augurando lunga vita a chi lo possiede, simboleggia stabilità e crescita, resistenza e resilienza, e, non dimentichiamolo, purifica l’aria ed arreca benefici alla salute.

Il bonsai è maestro di umiltà, è virtuosa simbiosi (Scafuri C., in Pensieri e Parole, 31 Agosto 2020)

Giorno dopo giorno, anno dopo anno si svolge una delicata lotta tra l’uomo,che ha in mente la sua idea di come si dovrebbe sviluppare la sua opera e la pianta che resiste per seguire la sua natura. L’uomo tenta di sedurre la pianta illuminandola dove vuole che cresca e lasciando in ombra le altre parti, cerca di forzarla con la propria volontà, la pianta da parte sua si ribella, ostinatamente decisa a restare padrona della propria vita. Alla fine si realizza un compromesso tra l’uomo che non avrà mai un bonsai esattamente come l’aveva immaginato e il bonsai stesso che sarà comunque molto diverso da come sarebbe stato senza l’intervento dell’uomo.
(John Yoshio Naka)

L’uomo interviene con strategie mirate, non invasive, e la pianta risponde rinnovandosi e modificandosi liberamente, accogliendo ciò che, nel rispetto, le si dona assiduamente.

Per la fotografia del bonsai, grazie a:

https://pixabay.com/it/users/ilonaburschl-3558510

Pillole di lettura

Il nuovo si interfaccia con il mos maiorum degli antenati: preservare la continuità desiderando il cambiamento non è facile e porta ad una risoluzione di ambiguo equilibrio…

Tutto il periodo storico dell’impero di Roma è indubbiamente imperniato sull’alternanza di forze della tradizione e forze innovatrici: già con Augusto entrano nella pubblica amministrazione elementi stranieri, si fa perno su militari, proletariato urbano, ceto medio-alto delle province con l’attribuzione di imperia straordinari a comandanti di eserciti in aree geografiche molto lontane, supervisionati dal sovrano con poteri illimitati…

In ogni epoca storica è rintracciabile il paradosso…

La capitale rappresenta il centro politico e simbolico del potere imperiale che si mostra anche ‘nomade’ da parte di quei sovrani interessati ad intraprendere viaggi lungo le frontiere per esercitare diretta supervisione e comando militare e a spostarsi all’interno dei domini da ispezionare e riordinare…

Non sempre il rapporto tra potenti e letterati si configura armonioso e c’è chi paga di persona per ciò che ha scritto nelle sue opere…

Il lavoro di limatura (letteraria) diventa una performance importante per tessere l’elogio all’imperatore con parametri adeguati secondo fattezze adulatorie tipiche del tempo…

Se pur con qualche esagerazione, s’intende lodare sempre il lodabile e mai il crimine ovvero le nuove leggi, il buongusto delle costruzioni romane, gli spettacoli offerti al popolo dal sovrano. Nell’ambiente letterario del tempo o si è poeta di corte o si muore di fame, infatti è impensabile avere un pubblico al di fuori della cerchia degli uomini più in vista ed influenti…

L’ascesa in società è ambita da coloro che desiderano cambiare il loro habitus, ostentando ed esibendo come pavoni le penne, bramando la toga…

Si invita a sontuosi banchetti e si elargisce…

Le relazioni strette tra clientes e patrones perdono via via l’intrinseca accezione originaria rapportata a fiducia, fedeltà e reciproco aiuto…

Accanto a scenari di guerra si presentano quadri legati ad una ‘periferia del lavoro’ con l’imperatore al fronte insieme con i suoi collaboratori più fedeli, attivi negli officia di provincia…

…personaggi proprietari di lussuse ville adibite per riposarsi lontano dal negotium, impegnati anche per lungji periodi fuori dell’Urbe e omaggiati per il fatto di servire in modo ineccepibile lo Stato…c è chi vive tra otium e negotium

La pregnanza sacrale del culto imperiale alita anche sul culto ‘più scettico e satirico’. Adorazione e paura nei confronti del prìncipe sembrano una cosa unica…

Costruiti sull’elemento strutturale artistico dell’arco romano, (i monumenti di Roma) costituiscono un insieme inscindibile e portante di ‘molteplicità nell’unità’, di tensione nella staticità e solidità dell’opera, rendendo visiva la definizione di architettura come sintesi di scienza e arte, come rappresentativa di potere e di sacro…

La tradizione artistica greco-ellenistica continua in quella romana nel segno del lusso e della magnificenza e, nonostante l’enorme dispendiosità di denaro e il peccato di luxuria, veicola un messaggio moralizzante e volto all’utilitas

I mores, le tradizioni degli antenati, la pietà, la grandezza, la virtù, la dignità e il dovere, la giustizia e la clemenza, a fondamento di ogni aspetto della vita cittadina, regolano le azioni legislative…

Da parte imperiale si indicono numerose feste con il recipuo scopo di divertire il popolo, ma anche con l’intenzione di rianimare il senso religioso…

Il regime imperiale si propone come un insieme spaziale e temporale: spaziale perché volto alla conquista di nuovi spazi territoriali e temporale perché ordinamento politico fondato sul concetto di aeternitas. La visione sublimata di Roma è costruita attraverso la certezza di stabilità e di immortalità del potere e dell’egemonia imperiali, suggellati da Giove stesso, in riferimento alla discendenza di Enea…

La guerra, ‘a buon diritto’, nella mentalità di Roma antica è indispensabile e necessaria a garantire pace e sicurezza allo Stato romano, procurando nuove terre e alimentando un circolo ‘virtuoso’ per tutta la comunità, alla base del progressivo fenomeno globalizzante…

Rallentando da un lato fenomeni di disgregazione, possibili in un così vasto impero, dall’altro si apre ai provinciali la corsa al principato…

Il formalismo e le relazioni compiacenti con l’aristocrazia senatoriale lasciano il posto a uomini ‘nuovi’ e procuratori equestri o comunque ad una idea politica che vuole rompere con l’idea tradizionale del principato, trasferendo in Occidente e a Roma il modello orientale…

Il maggiore problema nei rapporti tra imperatore e Senato risiede nella successione imperiale che il Senato pretende retta dal principio dell’adozione del ‘migliore’…

Mettendo a confronto le fonti storiche e storiografiche dell’epoca romana imperiale si apprende l’esistenza di elementi comuni di base, fissi, che si uniscono ad altri ‘fluttuanti’, diversi tra loro, relativi a soggetti o ad avvenimenti raccontati in forme anche contraddittorie e non sempre veritiere, sovente deformanti…

La timida bellezza dell’acetosella trifoglio

23 Ottobre 2022

Il Trifoglio, l’infestante erba portafortuna, che nasce spontanea dalla terra, portatrice della simbologia del “tre”-i tre volti e regni della Grande Madre Terra (terra, cielo, acque) con le triplici dimensioni (cuore, mente, anima) ed energie vitali (ancestrale o innata, respiratoria, nutritiva) in perfetto equilibrio tra loro- affascina chi la ammira, sicuro che, avendola ritrovata in sogno, la fortuna e il benessere saranno assicurati. Ci sono piante simili al trifoglio, che gli antichi usavano per trarne evidenti benefici, le quali si ripropongono come utili all’uomo in varie occasioni. Le foglie della graziosa Acetosella Oxalis (dal greco oxys=pungente e hals=sale), pianta spontanea, “rustica” e resistente, che cresce e si espande strisciando sul terreno o tappezzando pareti, ricordano quelle del trifoglio comune, ma sono assai più grandi, tripartite e bilobate. La suddetta pianta non è un trifoglio. La variante con i fiori bianchi tende ad essere confusa sovente con quest’ultimo. Nonostante ciò porta il nome contadino di Trifoglio Acetosella. La sua fioritura compare prima dell’arrivo della stagione primaverile, come a significare l’imminente fine dell’inverno: nella tradizione popolare la presenza della pianta significherebbe, per chiunque la trovasse o l’avesse nel proprio giardino, il raggiungimento della serenità e della quiete dopo le preoccupazioni dell’esistenza. Comunemente definita “trifoglio dormiente” o “bella addormentata” ha un comportamento molto “riservato”, di notte, nelle ore estive più calde o sotto la pioggia, quando le foglie e le infiorescenze a campanula tendono a chiudersi verso il basso in un sonno protettivo, per poi riaprirsi delicate, la mattina, al sole nascente. Con un sistema tutto suo di autodifesa allontanerebbe pericoli ed aggressioni all’esterno. Le credenze contadine intorno alla capacità dell’Acetosella di preannunciare la pioggia o il vento, si basavano proprio sull’osservazione del tempo e del modo delle foglie di ripiegarsi su loro stesse, al crepuscolo. Dalle fessure dei muretti a secco di Liguria, la sempreverde, dall’eleganza semplice, in tripudio, a formare “cuscinetti” colorati e vistosi, diventa metafora di protezione, di pudore, di amore materno, di fertilità, di rinascita, di tenerezza, di timida bellezza. Le foglie di Acetosella gialla, fino dal Medioevo utilizzate contro lo scorbuto, a tavola, unite all’insalata, per conferirne un tono acidulo, erano apprezzate anche per l’estratto, il cosiddetto “sale di acetosa”, formidabile per la pulizia del cuoio, l’eliminazione della ruggine e dell’inchiostro dai tessuti, per la fissazione dei colori sulla lana e la disincrostazione di pezzi di motore. Inoltre si diceva che impacchi di foglie di Oxalis Acetosella avessero proprietà decongestionanti per dermatiti od eruzioni cutanee. L’Acetosella Rosa, con le medesime caratteristiche delle altre Acetosella, bianca e gialla, non è però commestibile; è invece coltivata come pianta ornamentale in vaso, in giardini o intorno ad aiuole, per colorarle e valorizzarle. Dinanzi al suo rosa acceso, si potrebbe esprimere, sinteticamente e in modo significativo, con un aforisma, a mio avviso appropriato, ciò che la pianta, nel passaggio dall’inverno alla primavera, ci vuole confidare e regalare.

Quando cessano i pericoli e le minacce, torna sempre il rosa. Come un cielo dopo il temporale.

(Fabrizio Caramagna)

Stefania Manelli

in Lo Zibaldone Fiorito

Le Rubriche di VIVIMPERIA

La bellezza esplosiva del giacinto

27 Novembre 2022

Giacinto, giovinetto di inimmaginabile bellezza, amato dal dio Apollo e anche da Zefiro dio dei venti, da suo fratello Borea, vento del nord, e dal borioso cantore Tamiri, colpito accidentalmente alla testa in una gara di lancio del disco, morto e trasformato in pianta (inthos in greco) odorosa, dagli dei, cantato dal triste e sconsolato Orfeo, dà il suo nome al fiore affascinante e profumato che si mostra in primavera e in autunno e che tutti noi ben conosciamo. I segni del dolore, simili alle lettere A e I, quelle che ricordano un onomatopeico lamento, sarebbero rimasti incisi sulle sue foglie. Secondo il poeta Ovidio (X libro delle Metamorfosi) furono le lacrime divine a colorare di rosso vivo i petali, come il sangue delle ferite riportate… il sangue che sparso al suolo ha rigato il prato ecco che non è più sangue, e un fiore più splendente della porpora di Tiro spunta e prende la forma che hanno i gigli: solo che esso è rosso, mentre il giglio è argenteo… L’etimo del nome “giacinto” (giak radice greco-albanese=rosso sangue) rimanderebbe proprio alla vicenda mitologica. I giacinti rossi simboleggiano il dolore d’amore e il sacrificio per una giusta causa: Ajace Telamonio, guerriero acheo fortissimo, impazzì e morì suicida nella contesa con Ulisse per il possesso delle armi di Achille ucciso (Odissea, Omero), spargendo il proprio sangue, da cui nacque un fiore rosso, meraviglioso, con i segni A e I, iniziali del suo nome e riferiti anch’essi al grido finale di dolore del mondo per la sua perdita. Ne parlano, oltre Ovidio, Sofocle, Pindaro e U. Foscolo, presentandolo come emblema di audacia e ribellione. Il giacinto divenne protagonista delle feste Giacinzie a Sparta, ereditate poi dai Romani: il primo giorno era di lutto, in ricordo del fanciullo divinizzato, il secondo e il terzo si trascorrevano in nome della vita e rinascita di “Apollo Hayakinthios”, nume tutelare. In Grecia era diffusa la tradizione che le giovinette adornassero il capo con corone di fiori di giacinto in occasione del matrimonio di un fratello o i bambini durante le festività dedicate alla dea della fertilità Cerere. Anche Afrodite amava questo fiore, a tal punto da spargerne i petali profumati sul letto su cui si distese per sedurre Paride che, ammaliato, la scelse ( famosa la leggenda del Pomo della discordia). I colori parlano e svelano significati nascosti: il blu la coerenza e la sincerità, il bianco la purezza e la lealtà, il rosa il divertimento e la serenità. Nell’antichità si credeva che Il giacinto proteggesse dal malocchio, dalle malattie e contro il morso dei rettili. Si regala in segno di amicizia per un compleanno o per una festa ad una persona cara. Una bellezza timida, incantevole ed “imbarazzante”, che si nasconde, poi si mostra, mette soggezione e forse trasmette anche sofferenza in chi la ammira in Per te io curo questi fiori, E. Dickinson, poetessa dell’amore e della natura, una bellezza catulliana di donna, amorevole, sensuale, autentica tra innumerevoli fiori colorati (Carme 61, Catullo), una bellezza simile a quella dell’alba color giacinto (I gatti lo sapranno, Cesare Pavese), una bellezza particolare, originale per il “grappolo” (in La sposa infedele, Federico Garcia Lorca e in Orlando, Virginia Wolf), i “boccoli” (Odissea, Canto VI, Omero) e i “ricci” (in L’uva greca, da Alcyone, libro III, G. D’Annunzio): la bellezza floreale asiatica del giacinto fu conosciuta in Italia nel tardo Cinquecento e apprezzata successivamente, ma ibridata, da signori come Cosimo de’ Medici, che ne riempì i suoi giardini. Mariangela Gualtieri, scrittrice contemporanea, nei versi di Guarda i giacinti, dalla raccolta Le giovani parole, descrive, quasi come in un dipinto, i fiori in un tripudio di bellezza e di profumo e in una danza elegante ed esplosiva insieme.
C’è una voglia in loro
d’essere qui
d’essere tanti sullo stesso fusto –
e lanciarsi in aroma.
Guarda il giacinto prima dei fiori
quando pare un ordigno
da stringer nella mano
una spoletta verde –
è un fragore annunciato
un urlo che dal tavolino
investirà la stanza, prolungato
penetrante. La danza degli immobili fiori
tutta eleganza
chi celebra? Quale presenza
che il mio occhio non vede
ha un tale trabocco di bellezza
e chiama perentoria al culmine di loro
tutti i fiori?
Chi vi chiami non so – a chi diate obbedienza.

Se si hanno due pezzi di pane, uno sia donato ai poveri, l’altro sia invece venduto per comprare dei giacinti, al fine di nutrire la propria anima (proverbio indù). Nel simbolismo cristiano il giacinto, con il suo bulbo “tunicato”, il girello gemmato e i fiori stellati protesi verso l’alto, diviene sinonimo di prudenza, di raccoglimento, di pace dello spirito e anelito spirituale al cielo.

Stefania Manelli

in Lo Zibaldone Fiorito

Le Rubriche di VIVIMPERIA

Parietaria, preziosa erba muraiola

4 Dicembre 2022

Da una sinestetica descrizione del nostro caro paesaggio di Liguria (“I mari interni”, Ricomporre armonie, Bruno Lauzi) si legge: “Asperrima l’erta/ tra il finocchio di mare/ e il ligustro./ Presto lascia lo spazio/ a cielo aperto/ dopo un’ultima sosta/ in pieno sole/ e a una svolta s’inoltra/ nella continuità dell’ombra/ tra i muri d’una villa./ Di grado in grado/ balza/ tra schegge di lavagna,/ glicini e parietaria./ La mia Liguria è in aria/ serena e profumata,/ sposa segreta,/ umana.”

Appartenente alle Urticacee, la Parietaria officinalis (dal latino paries = muro), la tenace canigea genovese, muraiola, spaccapietra, perforamuraglie, erba de bentu, erba vetriola, gambarossa, nasce e cresce come erba spontanea ed infestante tra le fessure dei muretti a secco, in crepe di vecchie abitazioni, ai bordi delle strade, tra le pietraie e le siepi di luoghi fresche e umidi, creando cuscinetti verde-rossastri. Si diffonde e si radica velocemente, “umile” ma tenace. In versi contemporanei dedicati alla natura, agli affetti familiari, ai luoghi d’origine, diventa elemento poetico associato alla bellezza, al ricordo, all’amore, ma anche alla solitudine e alla chiusura al ripiegamento su se stessi, in riferimento alle zone in ombra e aspre che sceglie per vivere:

A festoni la grigia parietaria
come una bimba gracile s’affaccia
ai muri della casa centenaria… 
(Guido Gozzano)

Tra le crepe del muricciolo

dove cresce la parietaria

una lucertola nasconde

il corpo al sole… (Luca Pizzolitto)

La Parietaria…

verde di incoscienza

e serenità selvaggia…(Fabio Sani)

…Mattone di taglio e intorno pietre
e poi il gradino. Oppure,
lo striscio di una lumaca,
la parietaria al muro
ed io che penso:
“Non sono… se non sei”. 
(Fabio Martini)

Inerpicata e immobile resiste

nel consumato anfratto e dentro al tufo

e calce, fissa di barbe la muraiola

che aspersi semi derelitti al vento

strapparono l’appiglio a quella sorte

e il solo fato soggiunse a favorire

seppur l’agreste palmo nel sito mai la pose.

Così codesta vita , con quell’ amara allure,

gretta s’alligna alla materia inerme….

………….. sfuggevolmente viva! (Domenico Fabris)

Mi sono fatto pietra
di muri antichi,
nudi, arsi dal sole;
dei crocicchi, del porticato,
dei selciati consunti,
levigati dal tempo.

Mi sono abbandonato
all’ ombra dei vicoli deserti
profumati di parietaria,
-trincee abbandonate-
della Terravecchia.

Per restare.
Per sempre.
 (Angelo Mandorlo)

…Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci
e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri,
le strisce delle lumache nei loro gusci,
capire tutti gli sguardi dietro agli scuri

e lo vorrei
perchè non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io…
(Francesco Guccini)

Dalle proprietà medicamentose, con alto contenuto di sali di potassio e di flavonoidi, responsabili degli effetti drenanti, fin da tempi antichi fu considerata pianta officinale, con riferimento agli antichi “laboratori farmaceutici”, dove erano estratti dalle erbe i principi attivi con cui curare determinate malattie. Nell’Alto Medioevo gli Arabi ne apprezzarono le qualità e la utilizzarono ampiamente. Un medico salernitano, Platearius, affermò nell’opera Liber de semplici medicina che, essiccata, non avesse effetto alcuno, ma fresca e appena raccolta sprigionasse tutta la sua “forza” diuretica e aperitiva. Utilizzata dalle streghe per lenire il prurito ma, soprattutto, in caso di contatto con l’ortica, ha potere calmante.Fino dalla metà dell’Ottocento le erbe spontanee erano una risorsa alimentare importante per le popolazioni rurali, che le conoscevano molto bene, e nella stagione propizia mandavano i bambini a cercarle. Il Preboggion genovese, il pre-buggiun, mix di erbe spontanee, perenni e annuali, del nostro territorio, contempla anche la Parietaria officinalis insieme con tarassaco, borragine, spinacio e biete. Purtroppo però la pianta nell’immaginario collettivo, dal mare alle aree submontane, resta per molti l’erba urticante da eliminare e da estirpare, una “malerba”. Il periodo di pollinazione infatti è da marzo a ottobre, pertanto il polline rimane nell’aria per molti mesi e provoca allergie. Teofrasto (Περὶ ϕυτῶν ἱστορίας, lat. Historia Plantarum, libro IX, 322-321 a.C.) e Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, 23 – 79 d.C.), che l’aveva ricordata come sacra a Minerva, hanno parlato della Parietaria quale pianta edibile, alimentare, curativa, utile per l’eliminazione dei calcoli renali. Anche il medico greco Galeno tra il I e il II secolo d.C., nella sua opera De Naturalibus Facultatibus (“Virtù dei Semplici Medicamenti”), scriveva: “Si nota la sua virtù astersiva sui vasi di vetro”. Il potere detergente dell’erba vetriola era sfruttato per pulire cuoio e rame, oltre che l’interno delle bottiglie di vino come uno scovolino: le foglie sono ricoperte da una peluria uncinata, che le rende adatte a detergere, in sostituzione alla spugnetta. Curiosa l’interesse da parte dei bambini di un tempo che fu, avvezzi a raccoglierne i rametti appiccicosi per creare composizioni originali su vestiti o tessuti. Sparsa su covoni di grano, di sicuro non consentirebbe ad insetti nocivi al raccolto di attaccarlo, essendo vera e propria pianta insettifuga. In Salento la pianta avrebbe proprietà anche magiche: un infuso di Parietaria, strappata con la mano sinistra da una parete esposta a levante in notti di luna piena o crescente, doveva essere lasciato a riposo per una notte sul davanzale, senza togliere dall’acqua la pianta in infusione, e avrebbe scacciato le negatività.

What is a weed? A weed is a plant who’s good parts have not been discovered

Che cos’è un’erbaccia? Una pianta le cui virtù non sono state ancora scoperte.
Ralph Waldo Emerson (1803-1882)

Weeds are flowers too, once you get to know them.

Anche le erbacce sono fiori, una volta che le conosci.
A. A. Milne (1882-1956)

Stefania Manelli

in Lo Zibaldone Fiorito

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